domingo, 9 de maio de 2010

A crise e os seus inimigos


Il Manifesto pode ser hoje principalmente uma publicação editada em Itália , oriunda de uma esquerda crítica , radical e estimulante. Mas não é possível desconhecer a aventura política que lhe esteve na raiz, protagonizada por um pequeno grupo de militantes intectuais do PCI que dele se separaram , tendo fundado essa histórica revista , plataforma crítica que ainda hoje sobrevive como jornal. Talvez, me separem hoje do Il Manifesto algumas opiniões e algumas posições , como possivelmente sempre me terão separado, mas mantém-se incólume a minha admiração e o meu respeito por uma tão importante aventura política e intelectual.
Vem isto a propósito de uma pequena mas esclarecedora entrevista, hoje difundida por esta publicação italiana. O entrevistado é o economista português José Reis, Professor Catedrático da Faculdade de Economia da Universidade de Coimbra da qual é actualmente o Director. A entrevista, feita a partir de Bruxelas, é da responsabilidade do jornalista italiano Alberto D'Argenzio. Com a devida vénia permito-me transcrevê-la. Se a lermos com atenção, ficaremos a compreender melhor o que se está a passar em Portugal e na Europa.

«La speculazione attacca ma l'Europa non c'è»
Parla l'economista portoghese Reis.
Direttore della facoltà di economia all'Università di Coimbra, José Reis è uno degli economisti più importanti del Portogallo, prossima vittima designata dei mercati finanziari.
La crisi, dice, si può fermare limitando l'azione dei fondi, dando protagonismo a Bce e Ue e con tanta volontà politica, che però manca.
Com'è la situazione nel suo paese?
La situazione è difficile, ma è il frutto di una deriva. Finché lasciamo che il finanziamento dei paesi sia in mano a mercati senza alcun controllo, esisterà il rischio che i paesi finiscano sotto attacco, non per una reale situazione economica compromessa, ma per puri interessi speculativi. L'attacco non dipende dalla situazione reale, ma dal potere incredibile dato a determinati soggetti finanziari.

È vero che il Portogallo non è la Grecia, ma è pur vero che il suo debito privato sommato a quello pubblico è uguale se non superiore a quello greco. Sono problemi reali.
Sommando i due debiti, l'indebitamento è effettivamente elevato e oltretutto cresce, ma è una situazione sopportabile se i soggetti economici e politici si mettono d'accordo. Abbiamo un problema finanziario e abbiamo una crisi economica che colpisce il deficit e fa crescere il debito, ma se in questo quadro lasciamo tutto in mano ai fondi speculativi, non ne usciremo mai. Se invece la Bce si decidesse a finanziare il debito pubblico, comprando i titoli statali, il quadro cambierebbe. Sarebbe comunque difficile, ma non così grave.

Ci vorrebbe più Europa?
Siamo arrivati fin qui perché l'Europa è inesistente. La Bce non finanzia gli Stati direttamente, ma accetta buoni statali dalle banche e dalle entità finanziarie, come collaterali. Così facendo alimenta la speculazione, invece di limitarla. E la Ue non è capace di lanciare un grande programma di riconversione economica che integri maggiormente le periferie, come la Grecia e la penisola iberica. Per farlo ci vorrebbe un bilancio comunitario più grande dell'1% del Pil dei 27, ma c'è troppo egoismo in giro.

Come uscire da questa situazione, se c'è un modo?
I mercati non sono irrazionali, sono razionali per il loro obiettivo, che è la speculazione. Identificano zone difficili, giocano con le economie più fragili, come Portogallo e Spagna, ma non si può parlare di contagio, perché questa è un'iniezione volontaria di un virus. Il Regno unito sta peggio di Portogallo e Grecia, ma non viene attaccato, perché la finanza parla britannico e non guarda ai dati oggettivi. Ma se le economie del secolo XXI finiscono totalmente in mano ai mercati, alla fine gli Stati verranno cannibalizzati. La soluzione è tornare a delle economie miste, come negli Usa degli anni 50-60, in modo che tutti i problemi di sostenibilità economica siano protetti almeno in parte dall'azione dei mercati. Dobbiamo togliere il predominio dell'azione speculativa dall'economia. Il problema è che l'Europa non è all'altezza, è rappresentata da Barroso che è scomparso in battaglia, senza nemmeno apparire, o da una Merkel che pensa ai suoi elettori. Abbiamo bisogno di istituzioni federali, di una nuova Bce, di una Ue che integri le periferie.

Parla di federalismo, ma siamo tornati al nazionalismo più duro: il salvataggio di Grecia, Portogallo e Spagna pesa meno delle elezioni tedesche in Nord Renania-Westfalia. Fino a dove si arriverà per ottenere una reazione?
Temo che si arriverà ad una instabilità sociale e politica molto, molto forte. La democrazia difficilmente potrà resistere a una forte contrazione del Pil e della ricchezza, tutto ciò si paga socialmente e politicamente. Forse allora si inizierà a ragionare in maniera diversa.
Parlando di instabilità sociale, com'è la situazione in Portogallo?
La situazione non è ancora critica e incontrollabile, come in Grecia. C'è una grande conflittualità, ma al momento è tra le élite, c'è un dibattito economico intenso tra chi vuole imporre tagli alle spese pubbliche, sociali ed agli investimenti, come il presidente Cavaco Silva, e chi sostiene che invece l'investimento pubblico è necessario, come parte del Partito socialista, il Bloque de Esquerra, il Partito comunista ed i sindacati. Il dibattito è aperto anche se va tenuto conto che l'Europa chiede tagli, vuole sangue. E mentre si discute, la situazione sta diventando sempre più difficile, non solo per il lavoro, ma anche per gli imprenditori. Ci sono ingenti linee di credito, già approvate, che non vengono erogate perché nel paese c'è paura di investire. Questo acuisce inevitabilmente la crisi.


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